Nazionale

Razzismo negli stadi: lo sport ha il potere di cambiare il mondo

Per debellare il fenomeno serve un lavoro di lunga prospettiva, che sviluppi un processo culturale. Articolo di R. Chiodo Karpinsky, Uisp e Rete Fare

 

Il limite di guardia sul razzismo dentro e fuori i campi di calcio è stato superato da tempo. Intervenire sull'ennesimo episodio di razzismo resta indispensabile per insistere nella costruzione di un vaccino culturale, una strategia utile per sradicare questo fenomeno odioso e inaccettabile. Finchè non ci sarà un fronte univoco e compatto di condanna, da parte di istituzioni politiche, sportive, club, media e società civile, e ci sarà anche uno solo fra questi a minimizzare e trovare giustificazioni a comportamenti discriminatori, non riusciremo a liberarci dalla spirale negazionista in cui il nostro paese è finito. Per questo sono gravi le parole del presidente del Verona, Setti: sono gravi perchè dall'alto del suo ruolo offrono una sponda, anzi coccolano comportamenti che andrebbero invece stigmatizzati senza se e senza ma. Parole che vanno di pari passo con quelle di personaggi come il capo Ultrà del Verona e non a caso anche capo di Forza Nuova Veneto: "Balotelli anche se ha il passaporto italiano, non sarà mai un italiano". Perchè, chi è nero non può esserlo? Lo sdoganamento politico del razzismo, dell'antisemitismo, del fascismo è compiuto se non si ha più alcun timore a esprimere e gridare in uno stadio come su un bus il proprio istinto razzista, se si ironizza senza vergogna sulla Commissione Segre.

Del resto simili sdoganamenti hanno trovato spazio nei tweet o in comizi di piazza, e non solo da parte di sparuti manifestanti, ma anche dal palco dei promotori e fino a un paio di mesi fa perfino da politici che rivestivano alte cariche istituzionali. Facciamo i conti con tutto questo. Non ci stancheremo mai di ripetere che serve una svolta netta, che le regole ci sono e che devono essere applicate in modo severo e in ogni contesto si verifichi l'episodio di discriminazione, dalla Serie A ai campetti di perfieria. Le mezze misure servono solo a mettersi in pace la coscienza per dire che quel che andava fatto è stato fatto. (Il referto arbitrale e la relazione della Procura federale sulla partita, interrotta al 9' dall'arbitro per i cori di discriminazione razziale contro Balotelli, hanno indotto il giudice a infliggere al Verona la sanzione di chiusura per una giornata effettiva di gara con decorrenza immediata, di quel settore dello stadio Bentegodi. Mentre l'Hellas Verona ha interdetto lo stadio al leader della tifoseria, e dirigente veronese di Forza Nuova, Luca Castellini fino al 30 giugno 2030; Castellini risulta già sottoposto a Daspo firmato dal Questore per fatti avvenuti in precedenza nel corso di manifestazioni sportive, con validità fino al 2022, ed è quindi da tempo lontano dalle curve). La responsabilità che pesa sulla decisione del giudice è grande: servono segnali forti. Ne ha bisogno non solo il calcio ma la società intera. Segnali importanti da parte di istituzioni ci sono, come nel caso dell'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali che in occasione di un evento sul razzismo negli stadi, promosso dalla Rete FARE-Football Against Racism in Europe e dall'Uisp ha lanciato la creazione di un Osservatorio sul razzismo nello sport. Un osservatorio che offrirebbe una sponda a chi vuole denunciare episodi di razzismo e discriminazione, non solo in serie A e non solo nel calcio ma anche in campetti di periferia e in altre discipline. Infatti, il fenomeno è purtroppo diffuso e si riscontra non solo tra tifosi e giocatori avversari, ma perfino tra i genitori degli stessi atleti, spesso bambine o bambini che resteranno colpiti per sempre dall'offesa razzista.

Dunque per debellare il fenomeno, al di là delle regole e delle sanzioni, serve un lavoro di lunga prospettiva, profondo e diffuso, che sviluppi un processo culturale. E serve che questo percorso coinvolga tutti i settori, dalle scuole alle palestre, oltre che il mondo dello sport a tutti i livelli e i media. Anche in questo senso la Commissione Segre serve eccome e per questo non saremo mai abbastanza grati alla sensibilità e generosità della senatrice a vita e le esprimiamo la nostra solidarietà e affetto e tutto il nostro supporto. Il 7 ottobre, il giorno in cui si è svolta la tavola rotonda sul razzismo nel calcio presso l'UNAR, abbiamo ricordato che esattamente trent'anni fa in Italia si svolgeva la più grande manifestazione antirazzista. Accadeva a seguito dell'uccisione del rifugiato sudafricano Jerry Masslo. Sogno che si risvegli quella coscienza civile che nel nostro paese portò forze politiche e sociali a reagire con senso di umanità e solidarietà civica. So che dallo sport può venire un segnale importante che può rovesciare i simboli e i comportamenti registrati negli stadi. So che può succedere, come diceva Nelson Mandela, “Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di suscitare emozioni. Ha il potere di unire le persone come poche altre cose al mondo. Parla ai giovani in un linguaggio che capiscono. Lo sport può creare speranza, dove prima c'era solo disperazione. È più potente di qualunque governo nel rompere le barriere razziali. Lo sport ride in faccia ad ogni tipo di discriminazione”. Il Sudafrica ha visto arrivare Mandela dalla segregazione razziale e 27 anni di carcere alla Presidenza della Repubblica con il miracolo sportivo della vittoria ai Mondiali di rugby. Una vittoria parte di un processo di riconciliazione così fortemente voluto dal leader della lotta all'apartheid proprio per la sua consapevolezza dell'importanza simbolica che lo sport poteva avere nel superamento delle divisioni e della violenza che attraversava la sua società. E' troppo sperare che accada in Italia un simile miracolo? Che non solo per un giorno ma per tutto l'anno si inizi a fare sul serio negli stadi, dalla serie A ai campetti di periferia, nelle palestre? Un lavoro non retorico ma convinto, che coinvolga tutti, giocatori, allenatori, arbitri e tifosi in un corale NO al razzismo una volte per tutte. (di Raffaella Chiodo Karpinsky)

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